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Del 11-11-2021

IL FUTURO DOPO LA PANDEMIA SECONDO FABRIS E BONIOLO

Chiedi a chi ne sa

Per la rubrica "Chiedi a chi ne sa", in occasione del Convegno di studi promosso da Fondazione Golinelli e Ministero dell'Istruzione abbiamo dialogato con i professori Adriano Fabris e Giovanni Boniolo interrogandoci sul futuro dopo la pandemia.

 

La pandemia ha inciso su comportamenti, emozioni, reazioni individuali e collettive. Quali trasformazioni resteranno permanenti e quali no?

AF: L’esperienza della pandemia ha avuto conseguenze importanti che non possiamo ignorare. Ci sono stati effetti psicologici dovuti alla solitudine e all'isolamento, che in alcuni casi hanno comportato disorientamento e depressione. Inoltre si sono verificate conseguenze sociali, spesso ambigue, che hanno visto subentrare, accanto a molti casi di rafforzamento della solidarietà, una rivendicazione di presunti diritti individuali, anche a scapito delle altre persone. Ma soprattutto la pandemia ha trasformato i modi in cui pensiamo il mondo e agiamo nel mondo: nelle relazioni, per esempio, saremo sempre più vicini agli altri e lo saremo proprio se manterremo una distanza. A mio parere siamo sempre più chiamati a essere responsabili nei confronti del prossimo: i nostri comportamenti, infatti, contano per la nostra salute e per quella di tutti.

GB: Certamente non poteva essere che così, tenendo conto di ciò che è stato il lockdown, con tutte le sue restrizioni. Fare previsioni su quali trasformazioni rimarranno e quali saranno obliate è impossibile. Anzi, bisognerebbe criticare – e magari censurare – chi si arrischia a fare previsioni sulla base di un suo sentire personale o di una conoscenza spesso incompleta ed erronea di ciò che è accaduto.

Durante la pandemia si è parlato molto dei rischi della popolazione più anziana. Ma in che modo la pandemia ha inciso su bambini e bambine? E sugli/sulle adolescenti?

AF: Le bambine e i bambini, le nostre ragazze e i nostri ragazzi sono stati i più colpiti dalle conseguenze della pandemia. Il problema non è stato solo aver sostituito la didattica in presenza con quella a distanza, perché abbiamo assistito a una vera e propria trasformazione delle relazioni, che sono state circoscritte alla famiglia o a piccoli gruppi e, come tali, sono state mortificate proprio nel carattere di apertura e allargamento che è insito in ogni relazione feconda. I rapporti sono stati ridotti a uno scambio di immagini, o a un bollino su un monitor, e sono stati guidati dai riti imposti dalle piattaforme, invece che dalla libertà degli incontri. Ecco perché, non appena si è delineata la possibilità di un’uscita e una ripresa, questo è stato colto immediatamente, soprattutto dalle/dai giovani, e in maniera piena, talvolta eccessiva, ma sempre vitale.

GB: Le bimbe e i bimbi, le adolescenti e gli adolescenti sono stati privati di un anno di socializzazione, un anno di educazione scolastica in presenza e un anno di attività fisica. La loro formazione come persone a tutto tondo ne risente, e ne risentirà anche in futuro. La speranza è che possano ritrovare ciò che hanno perso, anche se non so come potranno e dubito che qualcuno possa dirlo con precisione.

Come la trasversalità e il dialogo tra discipline umanistiche e scientifiche possono stimolare la costruzione di un sé consapevole e quindi di una società equilibrata e pronta ad affrontare il futuro?

AF: Questo è il punto decisivo. Si possono fare i conti con la pandemia, si può ripartire interagendo con il COVID-19 e tenendolo sotto controllo, ma solo se ci muoviamo in un’alleanza stretta tra sviluppo scientifico e approccio umanistico. Non possiamo prescindere dal contributo degli scienziati, dei medici, degli esperti, perché è solo partendo dai loro dati, e dai rimedi che hanno escogitato e sperimentato, che possiamo contrastare il contagio. Ma questo non basta. È un compito di cui possiamo farci carico solo se siamo consapevoli del nostro essere umani, e del fatto che dobbiamo uscirne realizzando il bene non solo per noi come individui, ma anche per la comunità. E questo lo può indicare e giustificare solo un approccio umanistico. Entrambi gli ambiti disciplinari, scientifico e umanistico, hanno fra l’altro in comune una creatività analoga, seppur praticata in modi differenti. È da qui che può partire il loro dialogo al servizio di tutti noi.

GB: Si dovrebbe porre fine a questa lunga e inutile contrapposizione fra discipline scientifiche e umanistiche. La formazione di un sé consapevole ed equilibrato non può che passare dallo studio della matematica e dell’italiano, della fisica e della filosofia, della biologia e della storia, senza dimenticare l’arte, la musica e la necessaria educazione fisica.

 

Adriano Fabris è professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa dove insegna anche Filosofia delle religioni ed Etica della comunicazione. Dirige la rivista Teoria, è membro dei comitati di redazione di numerose riviste filosofiche italiane e straniere, e dirige le collane “Parva Philosophica” e “Comunicazione e oltre” presso le Edizioni ETS di Pisa.

Giovanni Boniolo si è laureato in Fisica e in Filosofia. Nelle sue ricerche si occupa di filosofia delle scienze della vita, di etica applicata, di bioetica e di epistemologia. È titolare della cattedra di Filosofia della Scienza e Medical Humanities presso il Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione dell’Università di Ferrara. È editor-in-chief della rivista “History and Philosophy of the Life Sciences”.

 

Per approfondire il tema guarda il video del Convegno di studio cliccando qui.

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